IO & IO

di Carlo Franza

Il miracolo la fotografia lo compie quando l’obiettivo si apre innervando e impressionando l’immagine sulla pellicola.

Si punta l’obiettivo e si apre il diaframma, sequenze privilegiate per tutti i fotografi, maggiormente per Roger Corona il fotografo milanese ormai calcante le scene d’Europa con i suoi ritratti e i suoi interventi ripresa, di corpi, sguardi e atteggiamenti.

Ritratti d’autore, ritratti interiori, ritratti costruiti, ritratti amati.

L’Io e Io come si titola la mostra di Roger Corona è la citazione più verosimile di un esercizio compiuto nel mondo dell’arte visiva. Ritratti di artisti contemporanei, sui quali l’artista in questione ha sviluppato un intervento mirato.
Ritratti fotografici che funzionano da memoria involontaria, capace com’è di far scattare nella mente immagini e sensazioni già vissute ma inesorabilmente sepolte nell’abitudine quotidiana. L’istantaneità della macchina di Roger Corona ha rubato volti e sguardi direttamente, di artisti oramai conosciutissimi, con un occhio straniante capace di ridonare intensità all’esperienza di tutti i giorni.

Ma entriamo nel vivo, giacchè il lavoro di Corona è anche un’invenzione fotografica e autobiografica, nel senso che lavorando sul “corpo”, fotografando, riprendendo, posando, egli ama la natura nei quadri dei pittori.

Una natura tecnologica, fatta di luci e colori, di costruzioni e di cinevisualità.

Il nostro fotografo non è affatto spaesato, ama il suo tempo.

D’altronde la memoria e l’arte sono le due vie che gli si offrono per dilatare il presente e salvarsi dall’indeformabilità delle abitudini e dall’isterilimento progressivo della vita. Corona mette a segno il carattere iconico della fotografia, il suo valore di segno che possiede in sé alcune proprietà, vale a dire delle caratteristiche dell’oggetto che denota, in questo caso il volto, la persona, la natura di un gesto da pop art.

Corona a mio avviso è andato oltre quel lavoro fatto da Rosenquist e Wesselmann, anche se questi due sono eminentemente artisti e non fotografi; essi infatti dipingevano usando vecchie tecniche dell’accostamento incongruo, della sovrapposizione, del fotomontaggio, idee sperimentate dai surrealisti, in particolare da Magritte e da De Chirico.

A Corona è interessato sopratutto il ritratto come quadro, con la fredda ironia che esercita, sia sui simboli eidetici dell’alta cultura, che su quelli della cultura di massa; esplicandosi in continue invenzioni tecniche, prelevando dalla pop art certi effetti, coinvolgendo globalmente la percezione oltre gli interessi dello spettatore.

Quasi rompendo la cornice del ritratto fotografico con lo straripamento dell’intervento dell’artista rappresentato che ne assume un carico assoluto.

Se ne evince un purismo iconografico che tende spesso all’astrazione, anche grazie al tipo di artista prescelto, o ai tipi, che talvolta rifiutano la pittura come elaborazione pittorica della superficie per entrare nello spazio come spazio della presenza e non più della rappresentazione, scoprendo le possibilità formali del mondo fisico e corporeo e centrando l’attenzione sulla percezione di esso e sulle sue ambiguità.

Così Corona acquista una forza singolare, innescando la ripresa nel movimento, nel ritmo, nella composizione, nella simmetria-asimmetria, nello sfondo, nei contrasti, nelle luci e nelle ombre, in un particolare che si carica di intensità e di tensioni emotive, in un contorno, in un gioco talvolta, come nel caso di Veronesi e del suo occhio geometrico.

In questo caso, in questa nutrita serie di ritratti, dove l’Io narciso si ammira selezionando il fotogramma che più gli aggrada, Corona ci consegna una fotografia che non ha resistito all’atteggiamento pittorico, all’intervento innestato, al materiale da costruzione dell’arte di oggi. Non più soltanto una fotografia del volto e del corpo, ma dell’anima anche nel senso che si viene a costruire in essa un vero e proprio segno iconico.

Una vera e propria estetica della fotografia, laddove la “previsualizzazione” dell’immagine fotografica (quella beninteso prescelta dall’artista) che porta poi a costruire la migliore prova della personalità del medium.

Tra le qualità stilistiche c’è anzitutto l’inquadratura, in questo Corona è stato in grado di offrire personaggi da un particolare punto di vista, fissandoli, isolandoli, in un’unica e tipica realtà propria di chi ha scattato l’immagine.

Corona dà alla sua storia una parte di azione immaginata, di storie pittoriche e multimediali, attraverso una serie importante di artisti italiani. Ecco Veronesi, Del Pezzo, Carmi, Grignani, Moncada, A. Pomodoro, Bertini, Alviani, Tadini, Pericoli, Bonalumi e Munari; artisti che impongono la loro griglia al mondo, non sogni e chimere, ma sillabe iniziali di un alfabeto artistico. L’occhio espressivo, lo sguardo prensile, l’affioramento riflessivo, le scelte diacroniche, hanno contribuito a fare del lavoro di Corona, un lavoro al plurale, un plurale che concepisce le superfici fotografiche al pari di un reliquiario dove far convergere le emorragie interne della coscienza accompagnate da una metrica iconografica misterica.

Da qui la cronaca che corre verso la storia.

Milano, Novembre 1993